L’ennesima cena in silenzio.
Un mese di terrorismo psicologico
ed isterismi per andare in vacanza tutti insieme, e questo è il risultato. Mia
madre e mia zia cucinano pasti pantagruelici e cominciano a pianificarli fin
dalla mattina. Stanno sulle sdraio, i capelli malamente raccolti con pinze di
plastica colorata, e progettano intingoli e pasticci mentre il palato sa ancora
di caffè e croissant. Poi si spalmano energicamente la crema solare e allora
rotolini e cosce tremolano come mozzarelle.
E dopo un gran tagliuzzare,
rimestare, salare, tritare e marinare ci sediamo a tavola – ed è il Nulla. Il
Niente Cosmico.
A volte si ottiene il permesso –
la grazia- di accendere la TV. Quando non è così, prendiamo posto spostando più
o meno rumorosamente le sedie, guardandoci nervosamente intorno, chiedendoci
scusa se, in due, allunghiamo
contemporaneamente la mano verso la stessa bottiglia d’acqua. E per quanto
festosi, colorati e invitanti possano essere i vassoi in tavola, quando anche
l’ultimo commensale si è seduto tutto si ricopre di un’ottusa patina grigia.
Indifferenza, ipocrisia: chiamatela come volete. Per ma ha la solida
consistenza del pane integrale e odora di soffritto.
Capita che ci siano goffi avvii
di conversazione che però muoiono dopo poche battute.
Mia cugina è estremamente
schifiltosa, cosa che manda in bestia mia madre. Anche stasera ad esempio Elisa
ha preso la forchetta arpionandola con le lunghe unghie squadrate ( e french
bianco). Ha la pazienza certosina di scartare tutti i piselli nelle verdure in
umido. Mamma la fissa ruminando sdegno e sbuffando sonoramente dalle narici.
Nessun altro fa caso alla scena ( o preferiscono non farci caso); mio zio si
serve generosamente di patate e poi fa girare il vassoio. E’ proprio il tubero
a distrarre mia madre, distogliendola una volta per tutte dall’esilio dei
piselli.
Poi è il solito strazio: noi
zitti, gli unici rumori il ronzio del frigo, il tintinnio coltello- forchetta o
forchetta-piatto, il raschiare del mestolo e lo splash dell’umido che atterra
nel piatto. Poche parole timide e tese, sassi lanciati nel vuoto. Mi sembra di
stare in una scena di una commedia dell’assurdo, dove ognuno parla un
non-linguaggio che l’altro non capisce e le azioni dell’uno non corrispondono
alle reazioni dell’altro.
Zoomo su mio zio che si ingozza
di patate e stacca dei gran morsi alla sua fetta di pane. Briciole rimangono
intrappolate tra i baffi a spazzola grigi. Papà suda abbondantemente, ogni
tanto fruga nella tasca dei bermuda rosapesca e tira fuori il fazzoletto con
cui si tampona il viso. Beve a veloci sorsate il vino fresco, deglutendo
rumorosamente e concludendo con un soddisfatto “aaaaaah!” a mezzavoce una volta
svuotato il bicchiere.
Quanto a me, io me ne sto seduta
a gambe strette, le cosce che ancora bruciano dopo una giornata sulla spiaggia.
La pelle calda mi fa sentire consapevole di avere un corpo. Il prendisole a
fiori della zia, la tovaglia cosparsa di briciole, il biascicare e lavorare di
mandibole, tutto stride con il contenuto dei miei pensieri. Il ventre mi si
torce dal desiderio, un bisogno spasmodico di voce muscoli e ciglia- di lui.
La mucca portamestoli accanto al
lavello mi sorride strabica; mi immagino per un istante un atto di possesso sul
ripiano di granito – una pennellata veloce dell'immaginazione e subito sento
una vampata di calore in grembo. -
TARATATA’, SCOPRI LA NUOVA FORD SABATO E DOMENICA...- Zio ha silenziosamente
agguantato il telecomando e acceso l’apparecchio. Sempre biascicando pane e
patate lui e papà attaccano a discorrere su consumibenzinagplprestazionieaccise.
Le pubblicità si susseguono incalzanti, rumorose e moleste, Elisa smanetta con
l’i-Phone picchiettando delicatamente l’artiglio laccato sullo schermo, mentre
con l’altra mano si torce una ciocca di capelli bruni accuratamente ed
energicamente piastrati. C’è ancora la frutta da affrontare prima che la cena
possa dirsi ufficialmente conclusa; dopo quest’ultima fase, quella dello
sbucciare lavare piluccare togliere semi, asciugarsi succo che cola sul mento,
ci potremmo alzare. Gli uomini in genere si piazzano sul balcone o sul divano e
l’aria si riempie dell’aroma del caffè.
Io esco; me ne vado da sola sul
lungomare o a riva. Nell’alito di vento serale intriso di salsedine volano via
l’odore di cipolla, le unghie di mia cugina, l’insulsa tovaglia a righe
bianco-rossociliegia. Mi concentro per sentire la brezza infilarsi tra i
capelli e insinuarsi sotto la gonna. Che mi accarezzi almeno il vento.... E
visto che le mie mani non possono avere la sua pelle, si accontentano di lisciare
i miei capelli, torcendoli e pettinandoli.
Patetica? Semplicemente sincera:
ho scoperto quanto sia importante il tatto, la solida tonicità di muscoli fibre
vene pulsanti e capezzoli e lobi. Al di là di qualsiasi retorica su sentimenti
ed empatia, la fisicità conta. ( Ecco che i tegami gorgogliati e fumanti che
riempiono di vapore la piccola cucina arancione della nostra casa delle vacanze
sono ormai storia antica, abitanti di un
pianeta di una lontana galassia).
Anche stasera vado sulla
spiaggia; mi tolgo le infradito e percepisco la granulosa sensazione della
sabbia umida. Pazzesco quanto insignificanti ed evanescenti possano essere le
persone intorno a noi, e quanto invece sia tangibile la presenza di chi è
lontano.
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