Venerdì, serata elettronica e luci
verde acido.
Sono appena le undici, il che vuol dire
locale semivuoto e poca fila al bancone. Si parla dell'ultimo film di
Scorsese e del nuovo governo; io succhio un Long Island da una
cannuccia fucsia. Perlopiù ascolto quello che gli altri hanno da
dire. Mi concentro affinché le molecole dell'alcol e le vibrazioni
della musica mi sottraggano alle grinfie del quotidiano. Dell'oggi,
uguale allo ieri e al domani, lavorare e lavarsi, mangiare cose che
il mio corpo trasforma in escrementi. Ineluttabile assenza di poesia
della routine.
Mi guardo intorno per osservare le
varietà di bestie umane che si sono radunate qua, come me e i miei
compari. Chissà se sono tutti come noi, gente affamata che cerca
nelle trame della notte improvvise scintille di vita.
Forse qualcuno di loro sì.
Ci sono teste di cazzo a grappoli. Li
riconosci subito, sono quelli che passano la serata a farsi foto e a
taggarsi sul Facebook. Mi ispirano nazismo, direbbe il buon Luca.
Tra tanta mediocrità, attira la mia
attenzione una ragazza che sta ballando da sola al centro della
pista. Non guarda nessuno, non cerca l'attenzione di nessuno; occhi
bassi o chiusi. Balla una, due, tre canzoni. Sfrutta il vuoto attorno
a lei per scivolare di lato, per fare giravolte e spalancare le
braccia.
A questo punto, mi alieno completamente
dalla conversazione del gruppo e mi concentro su di lei.
Non è bella; non riesco a vederle bene
il viso, ma i tratti fugaci che riesco a cogliere sono abbastanza
insipidi. Quelli di un viso ordinario. E' anche rotondetta. Però si
muove con grazia ed ha un buon senso del ritmo. Ballando da sola.
Questo forse dovrebbe bastare a renderla bella.
Ovviamente non sono l'unico ad averla
notata; vedo ragazzi che la indicano sogghignando.
“E' pazza”, staranno commentando.
Lo sento, sono così banali. “E' pazza”; Cristo, non so leggere
il labiale di quei coglioni dall'altra parte della stanza, ma sono
sicuro che è quello che stanno dicendo.
Perché pazza?
E' un'edonista, invece, una che sente
la musica anche sotto le unghie, che vuole godere delle vibrazioni
che esplodono dalle casse anche se non c'è nessuno chaperon ad
accompagnarla.
Qual'è il confine
tra follia ed eroismo?
Eccoci qua, noi, un
branco di pecore seduti su divanetti di similpelle logora o addossati
alle pareti a ruminare cocktail e chiacchiericci; ed invece là c'è
lei, che irrompe dal verdemela dei faretti, una visione taglia 46 che
frusta l'aria con i suoi capelli lunghi.
Sembra davvero
appagata da quello che sta facendo. Magari sa pure che c'è chi sta
ridendo di lei. E se ne frega. Così come se ne frega di me, che sto
qui a pensare a lei e ad ammirarla silenziosamente.
Valuto l'idea di
alzarmi ed andare a parlarle. Per chiederle perché sta ballando da
sola, se è qui con qualcuno, se vuole ballare con me.
Ci rifletto.
Ma io
voglio ballare con lei?
La voglio
conoscere? Voglio sentire il suono della sua voce? Può darsi che
abbia una voce spiacevole, gracchiante, nasale.
In realtà non
credo di dovermi avvicinare a lei. Non voglio rompere l'incanto. La
scena è già perfetta così com'è. Inoltre, se io andassi da lei,
probabilmente penserebbe che ci stia provando; il che renderebbe la
cosa molto squallida. Non voglio aggiungere altro squallore a questo
mondo, ce n'è già abbastanza.
Credo finirò il
mio Long Island e tornerò a parlare di politica. Anche se, a dire il
vero, quando mi riavvicino alla cricca, il discorso è ormai virato
sul nuovo ristorante giapponese di via Marconi: pare faccia aperitivo
a buffet a sei euro.
Alle nostre spalle,
lei continua a ballare.