giovedì 4 aprile 2013

FATAL ERROR

Vivevo in un bell'appartamento in una traversa di Via Zamboni, in pieno centro città e a due passi dall'università. In camera avevo appeso riproduzioni di Magritte e Schiele, andavo d'accordo con i miei coinquilini e l'affitto era onesto. Però tre mesi fa ho dovuto lasciare la casa.
La mia compagna di stanza si chiamava Greta; era sottile e silenziosa come un'ombra. Sempre curva su tomi di filologia e letteratura. All'inizio cercavo di non fare rumore quando stavo in camera con lei, per non disturbarla, e tra me pensavo che fosse un po' noiosa. Nozionismo sterile, ecco.
Poi una sera mi ha chiesto dei miei poster e siamo finite a parlare del cinema neorealista e dell'animazione giapponese: se ne intendeva davvero. E aveva un modo delizioso di raccontare.
Prendemmo l'abitudine di guardarci un paio di film a settimana, noleggiavamo il DVD alla biblioteca e sceglievamo una volta per uno. Bevevamo tè o birra. Imparai a riconoscere il suo profumo, sedendo per ore accanto a lei.
Spesso però la sera andava dal suo ragazzo e non tornava a dormire. Non la rivedevo che il pomeriggio del giorno dopo; rientravo a casa da lezione e la trovavo seduta alla scrivania con le sue dispense e l'arcobaleno di evidenziatori. Mi mettevo a studiare con lei; mi resi conto che la sua presenza mi rassicurava, con i suoi modi pacati e il suo astuccio pieno di penne colorate. Aveva un'aura positiva e luminosa, io invece sono inquieta per natura, sempre sbattuta tra le maree della vita. Le parlavo dei miei tormenti interiori appoggiata alla finestra aperta, fumando una Camel dietro l'altra; lei mi ascoltava fissandomi, perfettamente immobile, e dandomi tutta la sua attenzione. La foga e la frustrazione che mettevo nelle parole mi faceva tremare le mani. Mi sentivo così sporca al suo confronto. Lei indossava vestitini a fiori e gonne a pieghe che le stavano d'incanto, e si appuntava i capelli lunghi con un fermaglio di legno. “La invidio”, pensai all'inizio. Volevo essere anch'io una fata leggiadra, invece ero un nanetto goffo.
Ma il piacere che provavo nel guardarla, mi resi conto, andava al di là della semplice gelosia femminile o ammirazione. Notavo come un abito le scendesse bene sui fianchi e quanto l'ovale del suo viso fosse aggraziato. Ero dispiaciuta quando non la trovavo a casa. Le compravo dei regalini, un bracciale o un libro usato, per farla contenta.
Una sera la aiutai a piastrarsi i capelli, e mentre pettinavo le lunghe ciocche, sentivo le dita che mi prudevano dal desiderio di accarezzarla. Era di una bellezza radiosa, disarmante.
Mi ero innamorata della mia coinquilina.
Ne presi atto senza fare nulla; non potevo fare nulla. Lei aveva il suo Luca e stravedeva per lui. L'idea che anche lei, da un giorno all'altro, si scoprisse bisessuale per stare con me era quantomai ridicola. Impossibile.
Eppure andai avanti con la mia devozione platonica; piccole dosi quotidiane di masochismo, harakiri inconcludente, un frontale sicuro. Ma se da una parte la cosa mi lacerava, dall'altro mi teneva viva.
Poi - stasera andiamo a prenderci un aperitivo!- mi disse; aveva dato un esame quel giorno, ed era andato bene. Voleva festeggiare con me. Ok, certo. Quindi uscimmo; era la metà di Giugno, l'aria era umida e noi avevamo vestiti leggeri. Le spalle di Greta erano deliziosamente nude.
Lei era allegra, cantava, io cantavo con lei; dopo il primo giro di prosecco, io presi un bicchiere di rosso. Nel locale avevano messo su musica anni Ottanta- Abba, Blondie e Michael Jackson. Il mio cervello cominciò a galleggiare. Ridevo e abbracciavo la Graziosa Madonna Gloria. Al terzo bicchiere raggiunsi un'euforia disinibita. Uscimmo a fumare e lei si appoggiò al muro accanto a me. - Fammi fare un tiro-, mi chiese.
Invece mi girai e la baciai. Le presi il viso con tutte e due le mani, buttando la cicca a terra, e affondai finalmente le mani nella seta dei suoi capelli. Le sue labbra erano morbide e asciutte e sentivo la pressione del suo petto contro il mio.
Tutto durò meno di un minuto, poi lei mi respinse. Cercò di sdrammatizzare, ci scherzò su accusandomi di essere ubriaca. Io ( che ubriaca lo ero davvero) invece le confessai tutto, biascicando e balbettando.
E ovviamente l'ho persa.
I giorni successivi sono stati imbarazzanti, anche se lei cercava di stare a casa il meno possibile. Era visibilmente a disagio con me. Tentai di parlarle, ma fece muro. Si barricò dietro a risposte secche e monosillabi. Con tutta la dignità che mi era rimasta, quindi, impacchettai le mie cose e cercai un'altra sistemazione.
Non fece parola di quello che era successo con gli altri inquilini, né si fece vedere quando traslocai. Avrebbe potuto almeno salutarmi; non pensavo l'avrebbe presa così, la credevo diversa. In un certo senso, mi ha deluso. Peccato, però: baciava bene.