La solitudine è una brutta bestia. Un
pezzo di formaggio muffito in frigo. Per cercare di sopportare mi
sono svenduta a tipi decisamente mediocri. Nuovi numeri in rubrica da
chiamare, diversi aromi di dopobarba, corpi più o meno glabri. La
mia nausea però non passava. Vivevo di briciole d'illusione, parlavo
allo specchio, scrivevo messaggi che avrei voluto ricevere, mitizzavo
e mi lasciavo spogliare. Che squallore. Mi convinsi di avere problemi
di dipendenza dal sesso, presi appuntamento da uno psichiatra. Quasi
ci speravo, di venire bollata come erotomane: avrei elemosinato un
po' di psicofarmaci e avrei raggiunto il nirvana. Mentre sedevo in
sala d'aspetto, continuavo ad abbassarmi la gonna, tirandola per
coprire le ginocchia.
Mi immaginai di entrare e beccare il
dottore a pippare cocaina come il vecchio Sigmund. Invece mi aprì la
porta dello studio, mi fece accomodare a sedere e io cominciai a
parlare aggrappandomi all'orlo della sottana. La diagnosi non fu
niente di eclatante: avevo solo fame. Ma non una fame qualunque che
si potesse saziare con un tramezzino stantio o una merendina; era una
voglia di qualcosa di esotico e sublime, ancestrale, una fame che non
ti lascia dormire per i crampi allo stomaco – una bocca eternamente
spalancata che ruminava saliva. E' normale seguire gli istinti, mi
disse, è sano, anche se ovviamente un po' rischioso.
Niente antidepressivi.
Mi misi a digiuno. Non permisi più a
nessuno di accarezzarmi i capelli. Avevo notato che le mani delle
maggior parte delle persone erano sudice.
E poi successe; nemmeno ci sfiorammo,
la prima volta che ci siamo incontrati. Eravamo nel dehors di un
tipico Irish pub e io lo guardavo gesticolare mentre parlava. Muoveva
il polso flessuosamente e usava espressioni tipo “come se non ci
fosse un domani”, “ putacaso”, “al che gli faccio....e lui mi
fa...”, “che mentecatto!”. Quando finii la mia Beck's, mi alzai
e lo salutai con un cenno di testa e un sorriso. Me ne andai con il
suo profumo nelle narici e il ventre caldo. Superfluo
dire che ci rivedemmo ancora e ancora; la Grande Fame cessò.
Amavo ed ero amata.
Tuttavia mi ha lasciata. Non voleva, ma
ha dovuto farlo.
Ma non se n'è andato del tutto: una
parte di lui è rimasta qui, tangibile e viva, e ora dorme nel mio
letto. Mi ha lasciato in dono questa splendida creatura. Tre anni fa,
per qualche strano meccanismo del destino ( che si è bellamente
beffato dello zelo con cui io assumevo la pillola), sono rimasta
incinta. Lui era stato abbandonato da un padre violento a dieci anni,
se l'era filata dopo aver picchiato la madre per l'ultima volta, dopo
averla battuta e schiaffeggiata e lasciata sanguinante e semi
incosciente. Da quel giorno l'idea della paternità lo terrorizza.
Per questo non poteva rimanere con me.
Non sono arrabbiata con lui; insieme
eravamo felici e completi. Avremo potuto continuare ad esserlo,
certo; lui avrebbe potuto affrontare la sua paura, guardarla nelle
palle degli occhi e prenderla per i testicoli. Forse sarebbe andata
bene. Forse. Ma tanto con le subordinate ipotetiche non si cambia il
mondo.
Quando guardo la mia bimba, vedo lo
stesso sguardo ambrato di lui e allora la bacio e per me è come se
stessi baciando anche lui. Siamo uniti nell'inscindibile miscuglio
genetico di nostra figlia. Nostra figlia:
nessuna poesia può raggiungere il picco di bellezza di questo
binomio possessivo-sostantivo.
Oggi l'ho portata
con me a fare la spesa e le ho comprato la sua prima scatola di
pennarelli: abbiamo passato il resto del pomeriggio a disegnare e
adesso dorme. Ha le mani e il muso inzaccherati di colore e il
ciuccio ben saldo nel pugno destro. Scivolo a prendere la macchinetta
e le scatto diverse foto. La luce batte sul volto in modo splendido,
caravaggesco: le ciglia lunghe gettano la loro ombra sulle guance.
WELCOME TO THE JUNGLE, WE GOT FUN
AND GAMES....
Mi lancio sul
cellulare prima che la bimba si svegli, metto male il piede e
rispondo sbattendo contro la libreria. - Pron-ahi, pronto?-.
- Ehi,
ciao...Ahem, senti non riattaccare, io è da un po' che volevo
chiamarti e ci ho...sì insomma ci ho pensato tanto, quindi se
potessi ascoltarmi...solo ascoltare un attimo...-.
Gesù! Mi
genufletto sulla moquette e mi raggomitolo contro il mobile
aggrappandomi al telefono e mordendo le nocche per non fargli
arrivare i singhiozzi.
- E' che...ecco
io mi chiedevo.... potrei - potrei vedere la bambina? Ti porto anche
un po' di soldi, eh, ci mancherebbe... Ho trovato un lavoro lì da
voi, a Lucca, e quindi sono tornato....ma volevo farlo comunque,
intendo telefonarti...-. Pausa, respiro. Ancora respiro. - Che...che
ne dici? Io..be' se sei arrabbiata è normale, hai ragione... porti
ancora capelli lunghi e rossi? Quanto mi sono mancati...-. Lacrime
nelle parole.- E la bimba, ti somiglia?-. Climax di commozione.
Ho quasi tre anni
di cose arretrate da dirgli; rimangono tutte impigliate nelle corde
vocali. - Io...sì, per me va....mh- mhhm..va bene, se vieni. Mi sa
che Viola assomiglia più a te, sai-
- Allora...ecco,
se non avete niente da fare magari passo più tardi...- e poi con
una studiata palese nonchalance aggiunge – non so, se hai un
compagno adesso e vuoi prima parlargliene...-.
Lo interrompo con
una risata mista a un singhiozzo. - Idiota.....lo sai che
t'aspetto...-.
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