mercoledì 28 novembre 2012

IL POSACENERE

Non credo più in Dio, nell'amore o nel karma. Credo che vadano regolarmente tagliate le doppie punte e mi fido solo del display contacalorie del tapis roulant. Non riesco più ad arrivare a mio marito; o parliamo in due lingue diverse oppure, quando riusciamo ad usare una lingua franca, discutiamo di cose disgustosamente futili.
A cena tenevamo la tv rigorosamente spenta; ora mi preoccupo di accenderla perchè ci sono stati dei pasti in cui il silenzio era assordante- lo scroscio dell'acqua versata nel bicchiere riecheggiava in tutto l'appartamento- e consumavamo le pietanze in fretta, come bestie che grufolano nel trogolo.
A casa ho sempre freddo. Ho trovato pretesti per starci il meno possibile; dopo il lavoro vado in palestra. Più grassi brucio, più mi sento realizzata come donna. Eppure una volta ero una persona migliore. Sinceramente non so quando ho cominciato ad imputridire; adesso mi ritrovo con le unghie al gel limate e smaltate dall'estetista e non me ne importa niente. Sfilo le banconote dal borsellino e pago la parrucchiera, e mi sento patetica. Non bella.
Stasera c'è una cena di lavoro, io e le mie colleghe andiamo in questo ristorante à la mode e, mentre aspettiamo le portate, prendiamo un aperitivo al bancone. L'ambiente è in semioscurità, fluorescente ed ammiccante, tutte le donne portano scarpe con tacchi vertiginosi e plateau e le pareti ospitano collezioni di fotoamatori. L'effetto polaroid  pare sia di gran moda.
Mi appoggio sul banco e urlo “UN PROSECCO!” nell'orecchio del barman pelato. Due tipi avvenenti siedono in cima agli sgabelli, proprio di fianco a noi. Uno mi guarda, anzi mi fissa, poi mi sorride; si alza e si avvicina. Mi approccia con una sicurezza che sfiora l'arroganza e la presunzione. Me ne sto lì di fronte a lui ad aspirare avide boccate di Armani Code e a osservare le labbra carnose che si aprono e si chiudono al di sopra di una dentatura da pubblicità Colgate. Mi sento sempre più arrendevole e realizzo di provare l'indecente desiderio di leccargli la mascella perfettamente rasata.
Ci rincontriamo dopo che le nostre cene sono finite. Mi propone di andarcene a bere un amaro da qualche altra parte; io dico ok, va bene. Così mi ritrovo a flirtare sul divanetto di un wine bar senza sensi di colpa, anzi con una soddisfazione perversa. E i brividi quando mi sfiora i capelli.
Ma la femme fatale muore all'uscita dal locale; montiamo in macchina sua e non perde un attimo a prendermi per la nuca e baciarmi. Sento guizzare in bocca la lingua di questo sconosciuto e sento di non volerlo, non ci voglio entrare in questa terra incognita vestita di buona sartoria. Lo scosto bruscamente, scendo, vado a grosse falcate verso la mia macchina; dietro di me lui mi chiama indietro, ride, si infuria, comincia a gridarmi svariati insulti (frigida, puttana.....be' deciditi!).
Non lo guardo finché non ho messo in moto la vettura. Guido allucinata: prendo le curve larghe e in velocità e sento il vino sciabordare nello stomaco. Mentre aspetto al semaforo, mi accendo una sigaretta. Un regista che, dopo la prima, si accorge che il suo nuovo film è una clamorosa cagata deve sentirsi così, suppongo. Riparto: la cenere si sparge su sedili, cappotto e tappetini, la nicotina mi arriva subito al cervello e entra di forza nello stomaco. Sono, fisicamente e metafisicamente, nauseata.
A casa scappo subito in bagno a rimettere: appoggio i gomiti sulla tazza e ascolto i disgustosi risucchi e rantoli che la mia bocca produce. Entra Leo in pigiama:- Ehi....che hai? Ti ha fatto male la cena?- .
Sputo una boccata. - E' uno schifo... davvero, uno schifo-. 
- Cos'è che può averti dato noia?-. Mi giro a guardarlo; se ne sta sulla soglia, ben lontano da quella massa malconcia e maleodorante che è sua moglie. Io mi pulisco la bocca con la mano (sempre meno dignitosamente) – Noi...noi siamo diventati schifo. Così..così..- indico lo spazio che ci separa. A fatica mi rialzo. Lui risponde – Sei ubriaca?-.
Scuoto la testa e avanzo piano verso il salotto. - Dimmi che non è vero... Dio, è insostenibile. Insostenibile-.
Mi butto stancamente sul divano. Leo non risponde, si avvicina alla finestra e prende una sigaretta. Lo fisso fumare e tacere, e ogni attimo di quel silenzio ostinato mi esaspera sempre di più, sempre di più. Le labbra si schiudono solo per espirare fumo, non emettono suoni. In fondo la sua figura non è tanto più estranea del Signor Armanicode, adesso. E questo pensiero è uno squarcio nel ventre, e io sono esausta e ho la bocca impastata di rancido e lui non mi dice cosa cazzo gli passa per il cervello. Dietro la barricata del mutismo, si mette. Ma parla, per Dio, articola, esterna, esprimiti!
Mi lancio verso di lui, afferro la mano che ormai regge il mozzicone, mi arrotolo la manica della camicia e, ficcando i miei occhi nei suoi, scandisco :- Vuoi fare una cosa per me, eh, vuoi? Se mi ami.... ascoltami e guardami, se mi ami, spegnimi questa sigaretta sul braccio. Sì, qua-.
- Ma che dici? Ti faccio male, scema.... stenditi un altro po', dai -.
- Ti giuro che fa più male questo tirare a campare-. Ostento il braccio nudo davanti a lui. Che sbatte le palpebre. Nient'altro.
- Gesù, te lo sto chiedendo io, spegni quella cazzo di sigaretta sul mio braccio! -.
- Non ha senso-.
- Spegnila!-
Leo si volta, afferra dalla libreria un dischetto in similvetro massiccio blu. Cerca di ridere. – Sei matta....questo l'hanno inventato apposta-. E preme il mozzicone sul fondo del posacenere.

1 commento:

  1. Ciao Carlotta avevo lasciato un commento ma essendo analfabeta informatico penso si sia perso nella rete e chissà assieme a qualche "pesciolino".
    Hai espresso con essenzialità l'incomunocabilità, e l'abisso della solitudine da dove non si può fare altro che poter risalire se la nostra vita ce lo permette. Passa l'angoscia del dolore profondo che trova in quello fisico un inadeguato incompleto sostituto.
    Un caro saluto e continua!!! Carlo Botti

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