lunedì 7 gennaio 2013

SENILITA'

Dopo le sei e mezza può aspettarsi la visita del figlio. La messa finisce intorno alle cinque e quaranta, quindi lei ha tutto il tempo di trascinare le gambe gonfie – due ciocchi nodosi e pesanti- fino a casa, un tragitto che un paio di polpacci fasciati nei jeans impiegherebbero non più di dieci minuti a percorrere. Carolina si gratta le croste attraverso le calze ortopediche, si segna passando davanti all'altare, strascica i mocassini sul marmo, si segna di nuovo uscendo. Mentre cammina dice il rosario; attraversa la strada bofonchiando l'Avemaria.
Il figlio, dicevamo, passa a trovarla subito dopo il lavoro. Carolina non è che sappia leggere benissimo l'orologio, ma più o meno riesce a regolarsi con la luce del sole. E il palinsesto TV. Il primo piano su Carlo Conti annuncia che è quasi l'ora.
Oggi per suo figlio ha preparato peperoni ripieni. Tira fuori dal forno il tegame, lo scoperchia e in uno slancio di pignoleria aggiunge una punta di peperoncino e una manciata di origano. Poggia la pirofila sul tavolo, si siede lentamente – tutti i muscoli del coccige cigolano- e aspetta.
Ronzio del frigo.
Caldaia.
Scarico del vicino.
Aspetta.
Televisione del vicino.
Aspetta.
Su tutto regna “l'Eredità”.
Quante parole ha pronunciato Carolina oggi? Stamane è andata al supermarket; ha comprato verza, fagioli e marmellata per sé e peperoni per il figlio. Ha incontrato un paio di conoscenti, e la cassiera riccia ( sempre rossetto sorridente) le ha dato come al solito il buongiorno, “come va, signora? Suo figlio?”, le ha chiesto. A messa ha potuto togliere ruggine dalle corde vocali, le sentiva tremare mentre intonava l' “Osanna nell'alto dei Cieli”.
Il motore di una macchina; Carolina fissa la porta aspettando il trillo del campanello. Che tace. La visita non era per lei. Si dondola avanti e indietro sulla sedia di paglia; è già buio, già buio. La sua cena è pronta, deve solo scaldarla. Stare a sedere le diventa insopportabile, le musichette e gli scrosci di applausi della TV le diventano insopportabili, prende uno strofinaccio e si mette a spolverare con foga. Ricomincia a recitare il rosario, prega contro quella piccola fitta al cuore e un improvviso mal di fegato, contro il sapore della bile in bocca e contro il colore ottuso delle mattonelle del cucinino, un punto squallido tra beige e giallosenape. Prega e sfrega lo straccio.
TLINNN- TLIIIIIIN.
Le sfugge un singhiozzo.
- Buonasera, mamma- Insieme a Riccardo entra uno spiffero. -Ma...hai gli occhi lucidi, che è successo?-.
- 'Un è nulla, m'ha dato noia la cipolla... T'ho fatto i peperoni come garbano a te, guarda!-.
- Ah, ma non importava...-. Ecco, ora si allenta i bottoni del cappotto e controlla la posta. - E' arrivata la bolletta della luce..-.
Vorrebbe accarezzarlo ma ormai è un uomo.
- Vuoi qualcosa da bere? O un biscotto?-.
-No, no.. ma gli occhi continuano a lacrimarti! Non sarà meglio andare dal dottore?-.-Macchè!- Le corde vocali vibrano, deve spostare l'attenzione di lui dalle lacrime, Carolina si mette a parlare del freddo, dei reumatismi (“sapessi che fathìa alzassi dal letto...Gesùmmaria!”), della cassiera del supermercato. Parla veloce, impastando le parole, mangiandosi le “t” e le “c”. Riccardo invece articola con calma, parla italiano, lui. Quando si alza per andare via, è sempre troppo presto; però dopo in casa rimane un alone di dopobarba e la piccola sala ha colori più vivi. E Carolina decide che gli confezionerà qualcosa ai ferri, forse una sciarpa o un gilet per andare a lavoro. Dovrebbe avere dei gomitoli di lana buona bianco latte. Mentre si infila la vestaglia da camera disegna mentalmente il modello – scollo a V, senz'altro- e continua a pregare. Prega per chi non c'è più, per chi c'è ancora, per sé, per il figlio, prega che domani sera, sferruzzando sferruzzando, arrivi presto.

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