venerdì 11 gennaio 2013

LETTERA DI SCUSE

Questa non è una semplice lettera. E' un'opera d'arte, biro su A4, in quanto atto di pentimento sincero. Io, Marco Bassi, stanco di portare rancore e contrizione stretti in petto, chiedo ufficialmente scusa a tutti quelli che ho offeso e/o ferito nell'arco fino ad oggi.
Mi dichiaro colpevole, seppur con qualche attenuante. Sì, perché ci sono stati dei momenti in cui, vi confesso, non vivevo, bensì mi lasciavo vivere. Mi accasciavo e inserivo il pilota automatico, troppo stanco di essere sbattuto tra alta e bassa marea; mi ascoltavo dire cose che non pensavo senza avere la forza di tapparmi la bocca. Mi pentivo. Ma poi reiteravo il reato, puntualmente.
Ero arrabbiato, prendevo a calci il nostro gatto, che poi mi graffiava quando mi chinavo per riempirgli la ciotola. Ero arrabbiato, prendevo a pugni l'armadio, andavo a correre sotto la pioggia, fumavo e fumavo e fumavo. Qualche volta mi sono inciso il polpaccio con il coltellino svizzero. Non che volessi farla finita, era un modo come un altro per sfuggire all'apatia. E mi leccavo sempre il sangue; trovavo strano che fosse salato. Ancora oggi son convinto che dovrebbe avere il sapore di Nero d'Avola. Neanche le lacrime hanno il sapore che dovrebbero, comunque.
A volte rifiutavo il mondo, altre elemosinavo amicizia per scappare dalla solitudine. Ho passato ore insulse con gente insignificante pur di non stare a casa. Cercavo di ravvivare i colori bevendo un po' e ridendo forte, ma dopo mi sentivo più depresso che mai. E mi dicevo “col cazzo, questa è l'ultima volta che mi faccio 'na serata così...”. Falso. Le ricadute erano frequenti.
I miei non capivano, nemmeno gli amici riuscivano a spiegarsi perchè riuscissi a diventare così maledettamente ringhioso. A lavoro celavo e dissimulavo, perché ovviamente non potevo pretendere che i miei colleghi sopportassero la mia personalità schizofrenica e scazzata. Due vite, letteralmente: una in cui rispondevo cordialmente al telefono e davo del Lei ai clienti, un'altra in cui mi sotterravo nelle viscere del mio inconscio e mi rotolavo nella mia sporcizia, con perversa soddisfazione aggiungo.
Perché?
Perché, dico a voi, perché dopo che sei stato preso a schiaffi unaduetrequattro volte da Messer Destino, diventi cinico e allergico ad ogni qualsivoglia forma di buonismo. Per forza.
Ma un corpo e una mente non possono contenere due personalità per troppo tempo; ho perso il controllo. Mi sono ingozzato oltre ogni limite di decenza, sono sprofondato volontariamente nei bassifondi con ubriaconi e puttane (gli unici esseri che sentivo affini). Dio che disperazione accecante......accecante. E il supplizio peggiore era che non riuscivo a vedere – nemmeno in lontananza- un'uscita.
Ma sono l'unico ad aver provato queste cose? A voi non è mai successo di fermarvi, colpiti da un'illuminazione fugace, e chiedervi “ Come ci sono arrivato fin qui? Ma giusto ieri non avevo diciassette anni? Che è successo?” ?
Comunque sia, progettai una via di fuga dal pantano. Non potevo rinnegare nessuna delle due parti, io ero – sono- entrambe: potevo solo fonderle, scartare il marcio da ognuna e ottenere così una sorta di equilibrio sperimentale. E' stato un processo lungo, gestazione e parto, ma provavo così tanta pietà per me stesso che ho avuto la pazienza di aiutarmi a tirarmi su quando inciampavo.
E così adesso chiedo perdono. Vorrei scusarmi personalmente con ognuno, con quelli che non ho più chiamato, con quelli a cui devo ancora dei soldi, con il mio vecchio gatto. Mi scuso con quel ragazzino con i denti storti con cui uscivo solo per scroccargli sigarette, con mio fratello per avergli fregato spiccioli dal portafoglio più e più volte, con la ragazza dai capelli rossi per aver subito puntato al suo seno burroso ( ci avevo parlato neanche mezz'ora, ma avevo già due Negroni in corpo...).
Vi stringerei la mano ad uno ad uno, potessi.
Lo faccio mentalmente, aggiungendo anche un ossequioso mezzo inchino. Per quelli che possono sentirmi, mi autodichiaro una Merda e mi dissocio dai miei comportamenti passati.
Spero che la consapevolezza dell'errore implichi già una qualche forma di perdono.


In fede,
Marco Bassi

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