Questa non è una semplice lettera. E'
un'opera d'arte, biro su A4, in quanto atto di pentimento sincero.
Io, Marco Bassi, stanco di portare rancore e contrizione stretti in
petto, chiedo ufficialmente scusa a tutti quelli che ho offeso e/o
ferito nell'arco fino ad oggi.
Mi dichiaro colpevole, seppur con
qualche attenuante. Sì, perché ci sono stati dei momenti in cui, vi
confesso, non vivevo, bensì mi lasciavo vivere. Mi accasciavo e
inserivo il pilota automatico, troppo stanco di essere sbattuto tra
alta e bassa marea; mi ascoltavo dire cose che non pensavo senza
avere la forza di tapparmi la bocca. Mi pentivo. Ma poi reiteravo il
reato, puntualmente.
Ero arrabbiato, prendevo a calci il
nostro gatto, che poi mi graffiava quando mi chinavo per riempirgli
la ciotola. Ero arrabbiato, prendevo a pugni l'armadio, andavo a
correre sotto la pioggia, fumavo e fumavo e fumavo. Qualche volta mi
sono inciso il polpaccio con il coltellino svizzero. Non che volessi
farla finita, era un modo come un altro per sfuggire all'apatia. E mi
leccavo sempre il sangue; trovavo strano che fosse salato. Ancora
oggi son convinto che dovrebbe avere il sapore di Nero d'Avola.
Neanche le lacrime hanno il sapore che dovrebbero, comunque.
A volte rifiutavo il mondo, altre
elemosinavo amicizia per scappare dalla solitudine. Ho passato ore
insulse con gente insignificante pur di non stare a casa. Cercavo di
ravvivare i colori bevendo un po' e ridendo forte, ma dopo mi sentivo
più depresso che mai. E mi dicevo “col cazzo, questa è l'ultima
volta che mi faccio 'na serata così...”. Falso. Le ricadute erano
frequenti.
I miei non capivano, nemmeno gli amici
riuscivano a spiegarsi perchè riuscissi a diventare così
maledettamente ringhioso. A lavoro celavo e dissimulavo, perché
ovviamente non potevo pretendere che i miei colleghi sopportassero la
mia personalità schizofrenica e scazzata. Due vite, letteralmente:
una in cui rispondevo cordialmente al telefono e davo del Lei ai
clienti, un'altra in cui mi sotterravo nelle viscere del mio
inconscio e mi rotolavo nella mia sporcizia, con perversa
soddisfazione aggiungo.
Perché?
Perché, dico a voi, perché dopo che
sei stato preso a schiaffi unaduetrequattro volte da Messer Destino,
diventi cinico e allergico ad ogni qualsivoglia forma di buonismo.
Per forza.
Ma un corpo e una mente non possono
contenere due personalità per troppo tempo; ho perso il controllo.
Mi sono ingozzato oltre ogni limite di decenza, sono sprofondato
volontariamente nei bassifondi con ubriaconi e puttane (gli unici
esseri che sentivo affini). Dio che disperazione
accecante......accecante. E il supplizio peggiore era che non
riuscivo a vedere – nemmeno in lontananza- un'uscita.
Ma sono l'unico ad aver provato queste
cose? A voi non è mai successo di fermarvi, colpiti da
un'illuminazione fugace, e chiedervi “ Come ci sono arrivato fin
qui? Ma giusto ieri non avevo diciassette anni? Che è successo?” ?
Comunque sia, progettai una via di fuga
dal pantano. Non potevo rinnegare nessuna delle due parti, io ero –
sono- entrambe: potevo solo fonderle, scartare il marcio da ognuna e
ottenere così una sorta di equilibrio sperimentale. E' stato un
processo lungo, gestazione e parto, ma provavo così tanta pietà per
me stesso che ho avuto la pazienza di aiutarmi a tirarmi su quando
inciampavo.
E così adesso chiedo perdono. Vorrei
scusarmi personalmente con ognuno, con quelli che non ho più
chiamato, con quelli a cui devo ancora dei soldi, con il mio vecchio
gatto. Mi scuso con quel ragazzino con i denti storti con cui uscivo
solo per scroccargli sigarette, con mio fratello per avergli fregato
spiccioli dal portafoglio più e più volte, con la ragazza dai
capelli rossi per aver subito puntato al suo seno burroso ( ci avevo
parlato neanche mezz'ora, ma avevo già due Negroni in corpo...).
Vi stringerei la mano ad uno ad uno,
potessi.
Lo faccio mentalmente, aggiungendo
anche un ossequioso mezzo inchino. Per quelli che possono sentirmi,
mi autodichiaro una Merda e mi dissocio dai miei comportamenti
passati.
Spero che la consapevolezza dell'errore
implichi già una qualche forma di perdono.
In fede,
Marco Bassi
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