domenica 7 ottobre 2012

UOMINI E NO



“Giulia,
ti lascio perchè ormai la chitarra mi da più orgasmi del tuo corpo. Perchè non ho più voglia di baciarti i capelli. Perchè ti vesti come una liceale arrapata. Ti lascio con un biglietto perchè così ti incazzerai ancora di più con me, e magari sarà tutto più facile.
Senza rancore.”

Senza rancore, non credo. Ma ci saranno le sue amiche a consolarla e a darle man forte nel sputarmi veleno addosso. Non vedono l'ora di andarci giù pesante con lo stronzo di turno. Idiote: si mettono le ciglia finte per andare a ballare, abbinano la borsa con le scarpe e tutto quello che rimediano è una sveltina in macchina.
Ho lasciato il biglietto nella cassetta della posta di Giulia, poi mi sono allontanato pigiando forte sull'acceleratore. Non credo che tornerò subito a casa. Continuerò a guidare, sgusciando per le strade come la biglia argentata di un flipper ( ma ce ne sono ancora nei bar o esistono solo nel pacchetto giochi di Windows?). Tengo i finestrini abbassati ed entrano fiotti d'aria fresca che salgono su per i tubi delle narici e penetrano direttamente nella scatola cranica.
L'ho lasciata con un biglietto perchè ultimamente quando le sfioravo la pelle (aranciobruna grazie a sedute settimanali al solarium) era come accarezzare una Barbie; anzi, mi ricordo che intorno ai dieci-undici anni guardando quelle curve plastificate quasi mi eccitavo. Il suo corpo invece non rispondeva più allo stimolo delle mie dita. Oppure erano loro ad essere diventate sorde ai suoi richiami. Fatto sta che godo solo quando imbraccio una chitarra e mi arrampico su e giù per quelle sei corde, e lì le mie dita saltano pizzicano scivolano e vibrano assieme alle corde della mia Telecaster. Quando trovo il riff giusto, è l'estasi.
Di recente succedeva  che io me ne stavo a suonare con lo stesso trasporto di Santa Teresa d' Avila, mezzo fumato, a inseguire melodie visionarie. Lei si tingeva le unghie guardando Barbara D'Urso. E rideva di me; rideva se mi commuovevo ascoltando Tenco o De Andrè, perchè mi intestardivo a provare e riprovare un passaggio finché non mi usciva perfetto. Rideva  scoprendo i denti sbiancati e strizzando gli occhi da cerbiatta. Ed era una cosa che mi faceva davvero incazzare. E qualche settimana fa le ho detto che, tra i due, a me la cretina sembrava lei, che ogni sera si impiastra le cosce di crema anticellulite e che quando ha fame si ingozza di barrette dietetiche.
Allora lei ha cominciato a lacrimare, le spalle scosse dai singhiozzi, le tette strizzate nella t-shirt che sballonzolavano su e giù, il labbro tremulo. Di tanto in tanto tirava su col naso grugnendo. Ed era talmente ridicola che, stavolta, le sono scoppiato a ridere in faccia io. E la cosa ovviamente l'ha mandata in bestia.
Ho lasciato lei e la mia famiglia. Me ne sono andato di casa circa un mese fa. I miei sono gente semplice con appena la terza media. A mia mamma voglio bene; come si fa a non voler bene ad una signora che veste sempre a fiori e odora di basilico? Quando le ho detto che suonavo per locali con un gruppo, mi ha raccontato entusiasta di come, da ragazza, fosse invaghita di Mal e del suo ammaliante intercalare anglofono. So sexy. Poi si è messa a cantare Parlami d’amore Mariù e io l’ho afferrata e le ho fatto fare il casqué.
Di mio padre ho sempre diffidato un po’: viso paonazzo e barba ispida, fa il muratore e lavora sodo. Da bambino dovevo abbracciarlo quando rientrava a casa; mamma ci diceva che questo lo faceva contento, quindi bisognava corrergli incontro quando varcava l'uscio. Però lui, pover'uomo, puzzava di sudore sigaro e sudiciume e i miei abbracci non duravano più di qualche secondo. C'era un che di selvatico nel babbo, anche se si è sempre dimostrato un bonaccione. Fino a quando non ha scoperto che mio fratello ad un bel paio di tette preferisce pettorali scolpiti e tartaruga.
Ha cominciato a prenderlo a schiaffi urlando “Frocio! Frocio schifoso! A me doveva capitare....”. Il naso di Giacomo prese a sanguinare, la mano tozza del babbo continuava a menare sonori ceffoni – un cinghiale che si scaglia contro un capretto. Giacomo era troppo rintronato dalle percosse per fare resistenza, allora mi sono lanciato io su quell'uomo schiumante di rabbia, cercando di farlo smettere e di ammansirlo. Non facile. Anche perché la circonferenza di un suo bicipite corrisponde grossomodo a quella di una mia coscia. Alla fine riuscii a mettermi fra i due, facendo da scudo a mio fratello. Sentivo le ascelle sguazzare nel sudore. E non volevo credere che la bestia che ruggiva “Checca di merda!” davanti a noi fosse nostro padre.
Avevo dei soldi da parte, e avevo un lavoro: cercai un appartamento e lasciai casa mia portandomi dietro Giacomo e il suo viso pesto.
La prima sera nella nostra nuova sistemazione sedevamo entrambi in silenzio su un divano che ci era ancora sconosciuto e, in qualche modo, ostile. Giacomo sospirò e si tastò il labbro su cui aveva un taglio profondo violaprugna.
-        Ma come ha fatto?-, chiesi indicando con la testa la ferita.
- Preso in pieno con la fede...Gesù se ha fatto male!-. Si bagnò la spaccatura con la lingua e tornò a tacere. Mi avvicinai e lo abbracciai – Frocetto del cazzo...-. Gli scompigliai i capelli tra i suoi risolini striduli. Si liberò dalla mia presa, ridendo, e si pettinò con le dita. – Oh, Dio, ci vorrebbe una megavaschetta di gelato...-.
-         Sei proprio una checca...ma quale gelato, birra,perdio, BIRRA! E’ la birra che bevono i veri uomini!-. Tuttavia mi infilai la giacca di jeans e scesi dai pakistani sotto casa per comprare una confezione di gelato da un kilo.
-         Mi si stanno congelando le dita per colpa tua, signorina-. Richiusi la porta con un calcio.
-         Ma non eri andato a comprare le sigarette?-. Sotto i lividi ancora gonfi, a Giacomo brillavano gli occhi di nuovo.
-         Vai a prendere due tazze: ci sfondiamo di nocciola e stracciatella. E guardiamo un film. Un film da uomini, però; Bridget Jones te lo vedi con le tue amiche....-.
Scelsi Per un pugno di dollari. Polverizzammo il chilo di gelato. Ricordo che, mentre io avevo gli occhi chiusi per assaporare la colonna sonora di Morricone. Giacomo mi bisbigliò – Ti voglio bene....grazie-. Mi girai di scatto verso di lui, ma si era già ficcato in bocca una cucchiaiata di nocciola e fissava lo schermo.
Forse non avrei dovuto lasciarla con un biglietto, forse non è corretto, non è giusto, rifletto. Metto la freccia a sinistra, scalo la marcia e giro.
Ma d’altronde, se il mondo fosse giusto il vecchio Arsenio Lupin non si lascerebbe sedurre e abbandonare da quelle maggiorate di Margot e Fujiko ogni volta; le spedirebbe a fare le mondine in Cina e cari saluti. Ma tant’è.

3 commenti:

  1. Usa più lasciare con l'sms, ultimamente, altro che biglietto. Carino, comunque.

    RispondiElimina
  2. Grazie! L'sms però è davvero troppo impersonale....almeno il biglietto ha il fascino della calligrafia

    RispondiElimina
  3. Ma infatti l'sms è allucinante in questi casi; però conosco persone che lo fanno nella realtà(conosco bene, ah-ehm...).
    Hai uno stile particolare, asciutto.
    Grazie per il link, ricambio subito.

    RispondiElimina