“Giulia,
ti lascio perchè ormai la chitarra mi da più orgasmi del
tuo corpo. Perchè non ho più voglia di baciarti i capelli. Perchè ti vesti come
una liceale arrapata. Ti lascio con un biglietto perchè così ti incazzerai
ancora di più con me, e magari sarà tutto più facile.
Senza rancore.”
Senza rancore, non credo. Ma ci saranno le sue amiche a
consolarla e a darle man forte nel sputarmi veleno addosso. Non vedono l'ora di
andarci giù pesante con lo stronzo di turno. Idiote: si mettono le ciglia finte
per andare a ballare, abbinano la borsa con le scarpe e tutto quello che
rimediano è una sveltina in macchina.
Ho lasciato il biglietto nella cassetta della posta di
Giulia, poi mi sono allontanato pigiando forte sull'acceleratore. Non credo che
tornerò subito a casa. Continuerò a guidare, sgusciando per le strade come la
biglia argentata di un flipper ( ma ce ne sono ancora nei bar o esistono solo
nel pacchetto giochi di Windows?). Tengo i finestrini abbassati ed entrano
fiotti d'aria fresca che salgono su per i tubi delle narici e penetrano
direttamente nella scatola cranica.
L'ho lasciata con un biglietto perchè ultimamente quando le
sfioravo la pelle (aranciobruna grazie a sedute settimanali al solarium) era
come accarezzare una Barbie; anzi, mi ricordo che intorno ai dieci-undici anni
guardando quelle curve plastificate quasi mi eccitavo. Il suo corpo invece non
rispondeva più allo stimolo delle mie dita. Oppure erano loro ad essere
diventate sorde ai suoi richiami. Fatto sta che godo solo quando imbraccio una
chitarra e mi arrampico su e giù per quelle sei corde, e lì le mie dita saltano
pizzicano scivolano e vibrano assieme alle corde della mia Telecaster. Quando
trovo il riff giusto, è l'estasi.
Di recente succedeva
che io me ne stavo a suonare con lo stesso trasporto di Santa Teresa d'
Avila, mezzo fumato, a inseguire melodie visionarie. Lei si tingeva le unghie
guardando Barbara D'Urso. E rideva di me; rideva se mi commuovevo ascoltando
Tenco o De Andrè, perchè mi intestardivo a provare e riprovare un passaggio
finché non mi usciva perfetto. Rideva scoprendo
i denti sbiancati e strizzando gli occhi da cerbiatta. Ed era una cosa che mi
faceva davvero incazzare. E qualche settimana fa le ho detto che, tra i due, a
me la cretina sembrava lei, che ogni sera si impiastra le cosce di crema
anticellulite e che quando ha fame si ingozza di barrette dietetiche.
Allora lei ha cominciato a lacrimare, le spalle scosse dai
singhiozzi, le tette strizzate nella t-shirt che sballonzolavano su e giù, il
labbro tremulo. Di tanto in tanto tirava su col naso grugnendo. Ed era talmente
ridicola che, stavolta, le sono scoppiato a ridere in faccia io. E la cosa
ovviamente l'ha mandata in bestia.
Ho lasciato lei e la mia famiglia. Me ne sono andato di casa
circa un mese fa. I miei sono gente semplice con appena la terza media. A mia
mamma voglio bene; come si fa a non voler bene ad una signora che veste sempre
a fiori e odora di basilico? Quando le ho detto che suonavo per locali con un
gruppo, mi ha raccontato entusiasta di come, da ragazza, fosse invaghita di Mal
e del suo ammaliante intercalare anglofono. So
sexy. Poi si è messa a cantare Parlami
d’amore Mariù e io l’ho afferrata e le ho fatto fare il casqué.
Di mio padre ho sempre diffidato un po’: viso paonazzo e
barba ispida, fa il muratore e lavora sodo. Da bambino dovevo abbracciarlo
quando rientrava a casa; mamma ci diceva che questo lo faceva contento, quindi
bisognava corrergli incontro quando varcava l'uscio. Però lui, pover'uomo,
puzzava di sudore sigaro e sudiciume e i miei abbracci non duravano più di
qualche secondo. C'era un che di selvatico nel babbo, anche se si è sempre
dimostrato un bonaccione. Fino a quando non ha scoperto che mio fratello ad un
bel paio di tette preferisce pettorali scolpiti e tartaruga.
Ha cominciato a prenderlo a schiaffi urlando “Frocio! Frocio
schifoso! A me doveva capitare....”. Il naso di Giacomo prese a sanguinare, la
mano tozza del babbo continuava a menare sonori ceffoni – un cinghiale che si
scaglia contro un capretto. Giacomo era troppo rintronato dalle percosse per
fare resistenza, allora mi sono lanciato io su quell'uomo schiumante di rabbia,
cercando di farlo smettere e di ammansirlo. Non facile. Anche perché la
circonferenza di un suo bicipite corrisponde grossomodo a quella di una mia
coscia. Alla fine riuscii a mettermi fra i due, facendo da scudo a mio
fratello. Sentivo le ascelle sguazzare nel sudore. E non volevo credere che la
bestia che ruggiva “Checca di merda!” davanti a noi fosse nostro padre.
Avevo dei soldi da parte, e avevo un lavoro: cercai un
appartamento e lasciai casa mia portandomi dietro Giacomo e il suo viso pesto.
La prima sera nella nostra nuova sistemazione sedevamo
entrambi in silenzio su un divano che ci era ancora sconosciuto e, in qualche
modo, ostile. Giacomo sospirò e si tastò il labbro su cui aveva un taglio
profondo violaprugna.
-
Ma come ha fatto?-, chiesi indicando con la
testa la ferita.
- Preso in pieno con la fede...Gesù se ha fatto male!-. Si
bagnò la spaccatura con la lingua e tornò a tacere. Mi avvicinai e lo
abbracciai – Frocetto del cazzo...-. Gli scompigliai i capelli tra i suoi risolini
striduli. Si liberò dalla mia presa, ridendo, e si pettinò con le dita. – Oh,
Dio, ci vorrebbe una megavaschetta di gelato...-.
-
Sei proprio una checca...ma quale gelato,
birra,perdio, BIRRA! E’ la birra che bevono i veri uomini!-. Tuttavia mi infilai
la giacca di jeans e scesi dai pakistani sotto casa per comprare una confezione
di gelato da un kilo.
-
Ma non eri andato a comprare le sigarette?-.
Sotto i lividi ancora gonfi, a Giacomo brillavano gli occhi di nuovo.
-
Vai a prendere due tazze: ci sfondiamo di
nocciola e stracciatella. E guardiamo un film. Un film da uomini, però; Bridget Jones te lo vedi con le tue
amiche....-.
Scelsi Per un pugno di dollari. Polverizzammo il
chilo di gelato. Ricordo che, mentre io avevo gli occhi chiusi per assaporare
la colonna sonora di Morricone. Giacomo mi bisbigliò – Ti voglio
bene....grazie-. Mi girai di scatto verso di lui, ma si era già ficcato in
bocca una cucchiaiata di nocciola e fissava lo schermo.
Forse non avrei dovuto lasciarla con un biglietto, forse non
è corretto, non è giusto, rifletto.
Metto la freccia a sinistra, scalo la marcia e giro.
Ma d’altronde, se il mondo fosse giusto il vecchio Arsenio
Lupin non si lascerebbe sedurre e abbandonare da quelle maggiorate di Margot e
Fujiko ogni volta; le spedirebbe a fare le mondine in Cina e cari saluti. Ma
tant’è.
Usa più lasciare con l'sms, ultimamente, altro che biglietto. Carino, comunque.
RispondiEliminaGrazie! L'sms però è davvero troppo impersonale....almeno il biglietto ha il fascino della calligrafia
RispondiEliminaMa infatti l'sms è allucinante in questi casi; però conosco persone che lo fanno nella realtà(conosco bene, ah-ehm...).
RispondiEliminaHai uno stile particolare, asciutto.
Grazie per il link, ricambio subito.