venerdì 28 febbraio 2014

DANCING WITH MYSELF

Venerdì, serata elettronica e luci verde acido.
Sono appena le undici, il che vuol dire locale semivuoto e poca fila al bancone. Si parla dell'ultimo film di Scorsese e del nuovo governo; io succhio un Long Island da una cannuccia fucsia. Perlopiù ascolto quello che gli altri hanno da dire. Mi concentro affinché le molecole dell'alcol e le vibrazioni della musica mi sottraggano alle grinfie del quotidiano. Dell'oggi, uguale allo ieri e al domani, lavorare e lavarsi, mangiare cose che il mio corpo trasforma in escrementi. Ineluttabile assenza di poesia della routine.
Mi guardo intorno per osservare le varietà di bestie umane che si sono radunate qua, come me e i miei compari. Chissà se sono tutti come noi, gente affamata che cerca nelle trame della notte improvvise scintille di vita.
Forse qualcuno di loro sì.
Ci sono teste di cazzo a grappoli. Li riconosci subito, sono quelli che passano la serata a farsi foto e a taggarsi sul Facebook. Mi ispirano nazismo, direbbe il buon Luca.
Tra tanta mediocrità, attira la mia attenzione una ragazza che sta ballando da sola al centro della pista. Non guarda nessuno, non cerca l'attenzione di nessuno; occhi bassi o chiusi. Balla una, due, tre canzoni. Sfrutta il vuoto attorno a lei per scivolare di lato, per fare giravolte e spalancare le braccia.
A questo punto, mi alieno completamente dalla conversazione del gruppo e mi concentro su di lei.
Non è bella; non riesco a vederle bene il viso, ma i tratti fugaci che riesco a cogliere sono abbastanza insipidi. Quelli di un viso ordinario. E' anche rotondetta. Però si muove con grazia ed ha un buon senso del ritmo. Ballando da sola. Questo forse dovrebbe bastare a renderla bella.
Ovviamente non sono l'unico ad averla notata; vedo ragazzi che la indicano sogghignando.
“E' pazza”, staranno commentando. Lo sento, sono così banali. “E' pazza”; Cristo, non so leggere il labiale di quei coglioni dall'altra parte della stanza, ma sono sicuro che è quello che stanno dicendo.
Perché pazza?
E' un'edonista, invece, una che sente la musica anche sotto le unghie, che vuole godere delle vibrazioni che esplodono dalle casse anche se non c'è nessuno chaperon ad accompagnarla.
Qual'è il confine tra follia ed eroismo?
Eccoci qua, noi, un branco di pecore seduti su divanetti di similpelle logora o addossati alle pareti a ruminare cocktail e chiacchiericci; ed invece là c'è lei, che irrompe dal verdemela dei faretti, una visione taglia 46 che frusta l'aria con i suoi capelli lunghi.
Sembra davvero appagata da quello che sta facendo. Magari sa pure che c'è chi sta ridendo di lei. E se ne frega. Così come se ne frega di me, che sto qui a pensare a lei e ad ammirarla silenziosamente.
Valuto l'idea di alzarmi ed andare a parlarle. Per chiederle perché sta ballando da sola, se è qui con qualcuno, se vuole ballare con me.
Ci rifletto.
Ma io voglio ballare con lei?
La voglio conoscere? Voglio sentire il suono della sua voce? Può darsi che abbia una voce spiacevole, gracchiante, nasale.
In realtà non credo di dovermi avvicinare a lei. Non voglio rompere l'incanto. La scena è già perfetta così com'è. Inoltre, se io andassi da lei, probabilmente penserebbe che ci stia provando; il che renderebbe la cosa molto squallida. Non voglio aggiungere altro squallore a questo mondo, ce n'è già abbastanza.
Credo finirò il mio Long Island e tornerò a parlare di politica. Anche se, a dire il vero, quando mi riavvicino alla cricca, il discorso è ormai virato sul nuovo ristorante giapponese di via Marconi: pare faccia aperitivo a buffet a sei euro.
Alle nostre spalle, lei continua a ballare.



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